15 dicembre 2017 - EDITORIALE

Data di pubblicazione:
13 Luglio 2020
“Il risotto è finito e quindi se non ti piace questa pasta, qui c’e’ un detto: O mangi questa minestra o salti dalla finestra.”
Stavo passando con i miei piatti di risotto sul vassoio, il mio primo giorno di volontariato in quella mensa dei poveri.
Risotto allo zafferano, un risotto semplicissimo da preparare, per uno appassionato di risotti come me.
Guardai quella persona seduta al tavolo, da solo, con la barba sale e pepe, malvestito,  con un berretto in testa e un orecchino sul lobo, di origini meridionali.
Fissò il suo interlocutore per un attimo, un attimo soltanto,  poi lentamente come ad aspettare un chiarimento, prese la sua borsa, si alzò e senza dire una parola  usci dalla sala.
Gli altri commensali neanche si accorsero, intenti com’erano a parlare e mangiare.
Erano anni che volevo fare volontariato in una di queste mense dei poveri e ne scelsi una su internet, fuori provincia, lontana da casa apposta.
Ero già sindaco di Pescate, un poco meno conosciuto nel territorio lecchese  di adesso, ma mi sarebbe seccato essere riconosciuto,  non tanto perché il bene si fa nell’anonimato, ma perché  l’impegno sarebbe stato magari frainteso, e quindi volli andare lontano.
Finii il mio servizio quel giorno, il mio primo giorno, dalle 11 alle 15, addetto con altri sei o sette  volontari alla distribuzione dei pasti.
Salutai, me ne andai e non ci tornai più.
La mia compagna mi chiese  il perché, che sembravo così convinto di dare una mano in quella mensa, ma io gli dissi solo che non mi ero trovato bene.
Lei capì che non volevo parlarne, e non me lo chiese più.
Ogni tanto mi viene in mente quell’uomo con l’orecchino.
Anche se sono passati quasi cinque anni e l’ho visto una volta sola, lo riconoscerei ancora.
Chissà che storia aveva, chissà da dove veniva , magari era stato lasciato dalla moglie, abbandonato dai figli e non sapeva più cosa fare.
O magari aveva perso il lavoro, e con il lavoro poi se ne va tutto il resto e non si riesce più a risalire la china.
Magari era anche allergico a quella pasta, a quel ragù, magari non poteva proprio mangiarla la pasta, e poi accidenti ad una persona  può anche non piacere la pasta, anche se siamo in Italia.
E poi tu caposala se vedi che si alza e va via – e avrei fatto così anche io – chiediti se non sei stato troppo brusco,  se magari quella frase ti era sfuggita ma non era  tua intenzione.
E’ andata così.
Ma forse poteva andare diversamente se fossi uscito anche io con lui da quella mensa, lasciando li quei piatti di risotto, che il risotto più buono l’avremmo mangiato insieme a casa mia.
Ma non l’ho fatto, ero l’ultimo arrivato, sono rimasto con gli altri e ho sbagliato.
Ci si pensa sempre dopo che si ha sbagliato, a caldo non ho preso la decisione che mi sentivo e sono rimasto dentro con gli altri, anche se dentro di me io già lo sapevo, che ero uscito da quella sala e da quella esperienza nel momento in cui è uscito  lui.
Forse è l’aria del Natale che arriva, dell’atmosfera particolare che si respira in giro quando arrivano le feste più lunghe dell’anno.
Quando però per chi soffre  è sempre la solita festa triste di tutti i giorni.
Forse è questo che mi fa scrivere e ricordare l’episodio in questo ultimo editoriale dell'anno.
O forse è quando ti arriva inaspettatamente un invito ad un pranzo di Natale a Lecco, da chi non te lo saresti mai aspettato, organizzato per far stare insieme ad un unico desco tante persone meno fortunate, di cui nessuno parla mai.
Sederti li a pranzo con loro e quindi indirettamente e idealmente anche con quel meridionale con l’orecchino e la barba sale pepe, che in quella mensa lontana non sei riuscito ad aiutare.
Avrei potuto essere io al suo posto, avremmo potuto essere noi, voi, tutti, ad aspettare un chiarimento che non è mai arrivato  in quella mensa dei poveri, che era molto di più: L’accettazione di una condizione, il carico di una speranza, il conforto di un focolare anche provvisorio.
Magari è stato solo un episodio, magari non era mai successo prima in quella mensa  dove, sono sicuro c’e’ tanta passione e amore per le persone bisognose in quelle condizioni, altrimenti mica ci si impegna in una iniziativa così.
Però l’episodio rimane impresso e non credo mi lascerà mai, e non voglio neppure mi lasci mai.
Perché non le vediamo o magari non le vogliamo vedere, ma persone così, che vivono di carità e attenzioni sporadiche ci sono, sono intorno a noi e non sono nemmeno poche.
Poi magari pensi che sono scelte personali,  lo pensi più che altro per rendere meno triste la situazione, ma poi pensi anche che se uno fa una scelta personale di quel genere va a fare l’eremita sui monti, non rimane in città.
E pensi anche che una cosa del genere non la permetteresti mai a Pescate, che qui hanno tutti un tetto sopra la testa e il risotto nel piatto, e comunque cerchi di fare in modo che sia così.
Che non si possa avere come casa una panchina e come tetto  un cielo di stelle, specialmente a Natale.
E pensi infine che se mai un giorno dovesse non succedere, ma anche solo prevedere un disagio così in un cittadino, interverresti prontamente e non lo lasceresti mai andare via.
Via, prendendo la borsa lentamente, e uscire senza dire una parola.
Via.
Non tanto per il piatto di risotto, ma per un aiuto che aspettava e che nessuno gli ha dato.

Buone feste e buoni pranzi natalizi, cittadini di Pescate.
 

Ultimo aggiornamento

Martedi 06 Agosto 2024