19 maggio 2017 - EDITORIALE

Data di pubblicazione:
13 Luglio 2020
Ormai credo che tutti i cittadini di Pescate e non solo loro, sappiano della mia posizione sui cosidetti richiedenti asilo, che è chiara e netta fin dalle origini di questi sbarchi.
Senza entrare adesso nei fatti che stanno venendo alla luce in questi giorni e che rafforzano la mia posizione, di queste navi delle organizzazioni non governative al centro delle polemiche, oppure delle indagini in corso su alcuni centri di accoglienza posti nel sud Italia, è chiaro come il business su queste migrazioni di massa sia del tutto evidente.
A parte questo, nessuno potrai mai convincermi che questi giovanottoni con cellulari, cuffiette, ben pasciuti e ben vestiti che girano per i nostri paesi e negli altri paesi alloggiano-  perché qui a Pescate non ce né neanche uno - scappano dalla guerra.
Sfido infatti ciascuno di Voi che mi sta leggendo, se riesce a concepire il fatto di poter  scappare da una guerra da solo, lasciando sotto le bombe e nei tafferugli genitori, mogli e figli.
E infatti dopo mesi e mesi di permanenza nelle strutture di accoglienza, lo status di rifugiato o di profugo viene – se non in piccola percentuale - costantemente negato a queste persone che così, prive del  sostegno economico che avevano goduto, si trovano o si ritroveranno a vagare per il territorio, in  cerca di opportunità di lavoro che difficilmemte ci saranno, arruolandosi magari nelle fila della criminalità e del  malaffare.
Con evidenti problemi di sicurezza per tutti.
Ma intanto queste carovane di migranti alloggiano in residence, alberghi o in palazzine di privati ingolositi dai soldi degli affitti, facendo poco o niente tutto il giorno e svincolando anche a chi cerca di farli lavorare in qualche modo, perché tanto non esistono obblighi per loro.
Qualche mio bravo ma  ingenuo collega ci aveva anche provato a farli lavorare, almeno a titolo di riconoscenza per pane, companatico, vestiti, alloggio, riscaldamento, paghetta giornaliera, tessera telefonica ecc ecc, ricevuta.
Ma siccome questa gente  ha una cultura del lavoro e degli obblighi relativi  personalissima, invece che alle otto di mattina si presentavano al lavoro alle dieci.
Tanto non esisteva ed esiste nessun obbligo lavorativo.
Perché i diritti si imparano subito anche se si è stranieri, mentre i doveri si devono spiegare con calma e sono sempre più astratti.
Poi quando iniziavano a diventare tanti, al fine di smantellare l’hub del Bione e toglierne un po’ alla città di Lecco che da buon capoluogo si era dimostrata molto ospitale, a differenza di qualche sindaco del circondario, han pensato bene prefettura e comunità montana della Valsassina di far approvare ai sindaci il cosiddetto Documento sulla solidarietà diffusa.
In pratica i sindaci del territorio della provincia, o meglio quasi tutti i sindaci tolti sei  contrari (Pescate, Oggiono, Ello, Lierna, Ballabio e Oliveto Lario) e un astenuto (Garlate), hanno firmato un documento in cui si ricollocavano nei loro comuni un numero di migranti pari al 3 per mille.
Finora su ottantun comuni disponibili all’accordo sugli ottantotto totali della Provincia di Lecco, solo 29 han risposto all’appello.
Ma nonostante questo accordo firmato ci sono comuni che ne hanno oltre dieci volte di più e altri in cui ne sono già arrivati il triplo del consentito.
Ragion per cui i sindaci che hanno firmato per il 3 per mille e si ritrovano magari con il 3 per cento di migranti, si arrabbiano con la prefettura che continua a mandarli, ma anche con gli altri sindaci che pur avendo firmato l’accordo fanno orecchie da mercante.
Magari detti colleghi ce l’avranno anche con me, ma io l’ho detto subito al prefetto che non li volevo perché:  Prima cosa devo pensare ai miei cittadini indigenti che non sono comunque pochi.
Seconda cosa, del mio operato devo rispondere solo ai miei cittadini e non alla prefettura,  e terza non voglio avere in paese gente pagata per non lavorare e che quindi ozia tutto il giorno bighellonando nei parchi.
Mio nonno Andrea, da piccolo mi ha insegnato che chi non lavora non mangia, e credo che questi detti popolari debbano anche esseri riscoperti come culla delle nostre tradizioni, e non mandati nel dimenticatoio.
Certo, per colpa del sindaco il comune di Pescate non ha preso i 500 euro a migrante stanziati dallo Stato ed erogati ai comuni che invece li hanno accolti.
Ma onestamente questi soldi non li avrei neanche voluti, perché noi pescatesi i soldi ce li guadagnamo lavorando e non aprendo le nostre case a sconosciuti e nullafacenti.
Ma poi, è possibile e logico  che oltre a spendere 35 euro per migrante al giorno,  lo Stato ne spenda altri 500 una tantum, sempre  a migrante, per dare il contentino ai comuni?
Ma a quale titolo?
A questa stregua sono autorizzato a chiedere allo stato 500 euro per ogni mio cittadino indigente, loro chi sono, i figli di uno Stato minore?
E non mi si venga a dire che anche i nostri italiani un tempo migravano per sfuggire alla fame ed alle carestie, perché quelli nostri all’estero pur con la voglia di lavorare, trovavano mille difficoltà, tra quarantene e umiliazioni di ogni tipo, mica la pappa pronta, la paghetta, la ricarica telefonica  e i vestiti stirati sul letto.
Di queste sigle di cui parlano tanti miei colleghi, CAS, SPRAR e via dicendo, tutti servizi che riguardano i migranti,  non mi interessa assolutamente nulla, e qui a Pescate non verranno attivati.
Noi attiviamo e consolidiamo solo servizi per i nostri cittadini e per il nostro territorio.
Siamo una piccola Svizzera anche in questo.
Buon fine settimana.
 

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